GESÙ DI NAZARET - LUCE DEGLI UOMINI

JESUS OF NAZARETH - THE LIGHT OF MEN

BIOGRAFIA DI GESU' DI NAZARETH

 

Gesù è la figura centrale del Cristianesimo che lo riconosce come il Messia, il Cristo, Dio che si fa uomo. Le principali fonti testuali che narrano della sua vita sono i quattro vangeli canonici (scritti da Matteo, Marco, Luca e Giovanni). Le ricerche storiche sulla storia di Gesù trovano inoltre origine nelle lettere di San Paolo e negli Atti degli Apostoli. Sebbene alcuni studiosi riconducono la figura di Gesù all'elaborazione di un mito, molti altri - anche non cristiani - concordano nel riconoscere la sua figura storica.


Secondo il racconto di Luca, nel suo vangelo, una vergine di nome Maria, promessa sposa a Giuseppe e discendente del Re Davide, riceve a Nazaret di Galilea (al tempo di re Erode) una visita dell'angelo Gabriele, che le annuncia il concepimento di Gesù. La nascita di Gesù (sia per Matteo che per Luca) avviene a Betlemme, in Giudea. Tuttavia in epoca moderna studiosi laici e cristiani hanno ipotizzato essere Nazaret il luogo di nascita.

Non si conosce con esattezza la data di nascita di Gesù. Secondo la tradizione la data del Natale sarebbe il 25 dicembre. La datazione più corretta colloca la nascita negli ultimi anni di re Erode, attorno al 7-6 a.C.

Nella cronologia cristiana non è contemplato l'anno 0: si fa risalire all'anno 1 a.C. l'anno in cui Gesù nasce, l'anno 1 d.C. è l'anno successivo. Questo non è dovuto ad un errore di computazione bensì al fatto che il concetto di numero 0 viene introdotto in Europa da Fibonacci solo nel XIII secolo d.C.
Ben prima, nel 527 d.C., il monaco Dionigi aveva proposto di contare gli anni dalla nascita di Cristo: essendo ignoto lo 0 si scelse 1 come numero di partenza.

Dopo la nascita di Gesù il solo vangelo di Matteo racconta la cosiddetta "Epifania" (dal greco epifáneia, "manifestazione"), evento per cui alcuni magi (tradizionalmente chiamati "Re Magi" e ritenuti in numero di tre) vennero dall'oriente a Gerusalemme, seguendo la stella cometa con l'intento di portare in dono al nuovo re oro, incenso e mirra. Re Erode, venuto a sconoscenza di questo e temendo l'usurpazione del trono, ordina l'uccisione di tutti i bambini di Betlemme sotto i due anni (atto ricordato come "strage degli innocenti"). Giuseppe però, avvertito in sogno da un angelo, fugge con Gesù e Maria in Egitto. Morto Erode (4 a.C.), i tre ritornano nella terra d'Israele stabilendosi a Nazaret.

I vangeli narrano poi della predicazione di Gesù focalizzata sull'annuncio del Regno dei Cieli e sull'amore al prossimo, realizzata con discorsi e parabole accompagnati da miracoli; narrano infine la sua passione, morte in croce, risurrezione e ascensione al cielo.

La maggior parte degli studiosi concordano nel collocare la morte di Gesù nel giorno di venerdì 7 aprile 30 d.C.

Dai vangeli, che identificano Gesù con il Messia e il Figlio di Dio, appare come la predicazione e l'operato di Gesù profeta, abbia riscosso nella società ebraica del tempo un successo limitato, conseguito principalmente tra i ceti più bassi. Il breve periodo della sua predicazione si conclude con la morte in croce, richiesta - secondo i vangeli - dalle autorità ebraiche ma avallata dal governo di Roma, con la decisione finale consegnata nelle mani del prefetto romano Ponzio Pilato.

Dopo la morte, i seguaci di Gesù ne sostengono la risurrezione diffondendo il messaggio della sua predicazione nel mondo, facendo così di Gesù una delle figure che hanno esercitato maggiore influenza sulla cultura occidentale.

Dal punto di vista ebraico Gesù è stato un predicatore itinerante, ma non il Messia atteso; non era Figlio di Dio, non ha compiuto miracoli e, dopo la morte in croce, non è risorto né asceso al cielo. Secondo l'Islam, Gesù è stato uno dei maggiori profeti venuti prima di Maometto; nacque verginalmente, compì dei miracoli (per volere divino), non morì, ascese al Cielo, ma non era Dio. Altri rilevanti movimenti religiosi contemporanei hanno elaborato una propria interpretazione su Gesù.

 

I Musulmani Ahmadi credono che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione e viaggiò verso l'India per continuare i suoi comandamenti tra le Tribù Perse di Israele. In più, essi rivendicano che la sua tomba, contenente il suo corpo, è stata recentemente riscoperta in India la quale si può vedere fino a tutt'oggi. I Musulmani Ahmadi asseriscono anche che questo credo non solo è contenuto nel Corano e i Detti del Profeta Muhammad ma anche nella Bibbia stessa.

I Musulmani Ahmadi rivendicano che Gesù sopravvisse alla crocifissione perché egli era stato tirato giù dalla croce in uno stato di incoscienza, non morte.

Dopo la sua sopravvivenza, Gesù viaggiò fino al Kashmir, India e predicò alle Tribù Perse di Israele. La sua tomba può essere trovata li fino ad oggi.

 

La storia tradizionale Ebrea e dei testi Biblici divide il popolo semitico in dodici tribù. Nel tempo di Gesù, solo due delle tribù erano nella regione dove Gesù predicò, mentre le circostanze delle rimanenti dieci è sempre stato un po' un mistero.

Lo storico Josephus del secondo secolo scrisse nel suo libro Antichità degli Ebrei che le dieci tribù erano "oltre l'Eufrate" nel suo tempo, l'est dell'Iraq del giorno d'oggi e nell'Impero Persiano del tempo che si estendeva sino all'India.

È anche notabile che l'iniziale storia della Chiesa documenta l'esistenza di un Vangelo in lingua Ebraica trovato in India, che quindi conferma Israeliti in India. San Jerome (circa 400 d.C.) scrisse che lo scolaro Pantaenus nel secondo secolo venne in possesso del documento durante i suoi viaggi. San Jerome poi scrisse che gli Israeliti nel suo tempo continuarono a vivere nell'Impero Persiano.

La missione di Gesù era di raggiungere le Tribù (o Pecore) Perse di Israele, come dichiarato in Mt  15-24. Era quindi imperativo per lui di migrare verso est.

Una grande evidenza è che i popoli dell'Afghanistan, nord-ovest India (particolarmente Kashmir) e delle aree circostanti sono di origine Israelita. I loro tratti fisici, lingua, folclore, costumi e festività attestano della loro origine Israelita. L'evidenza viene anche dai nomi che essi hanno dato ai loro villaggi, i loro monumenti e antichi lavori storici.

Alcuni studi genetici su persone dell'India che fino ai giorni nostri si fanno chiamare "Bani Israel" o "Figli di Israele" conferma la loro origine medio orientale.

 

Il luogo di sepoltura di Gesù in Kashmir è conosciuto dai locali come Rauzabal, che significa la Tomba Onorata. È conosciuta come la tomba di Yuz Asaf, che può essere di derivazione Buddista o probabilmente da Yusu o Yehoshua (Gesù) il Raccoglitore.

Le tradizioni locali dichiarano che il seppellito era un profeta di Al-Kitab, o Popolo del Libro, e il suo nome era Isa - il nome Coranico per Gesù.

Il profeta Yuz Asaf venne nel Kashmir dall'Ovest (Terra Santa) nel regno di Raja Godpatta (circa 1 secolo d.C.) in accordo con gli antichi documenti ufficiali in possesso dal corrente custode della tomba.

Alcune delle più estese ricerche sulla tomba sono state condotte dal, ora ritirato, famoso storico e insegnante Capo dell'Archeologia del Kashmir, Professor Fida Hassnain.

La tomba è Ebrea, come attestato dalla direzione in cui si trova. Vicino alla tomba c'è un orma incisa nel sasso, una resa artistica delle ferite della crocifissione.

 

Nel primo secolo d.C. l'India del nord era un vasto centro non solo di Induismo, ma anche Buddismo. I popoli Israeliti che Gesù aveva amministrato in quell'area erano una minoranza che praticava il Giudaismo, ma è saputo che molti hanno adottato le fedi indigene dell'Induismo e anche Buddismo.

È possibile tracciare i passi di Gesù in quelle terre da alcuni di quei testi.

Gli antichi testi Hindu sono chiamati Puranas. Un libro, Bhavishya Maha Purana (letto in Sanscrito) contiene un racconto di un Re dell'India, Salivhana che aveva incontrato "Isa-Masiha" (Gesù il Messia) - un personaggio religioso di bell'aspetto che era uno straniero.

I testi Buddisti contengono una profezia di un futuro Buddha, un bodhisattva, chiamato "Bagwa Metteya" una frase Pali che letteralmente significa "bell'aspetto" o "viaggiatore bianco". La somiglianza etimologica della parola "Metteya" a "Messia" è stabilita e un significato della parola "Messia" è viaggiatore.

Visto che il sole della Cristianità si innalzò in India con l'avvento personale di Gesù in quell'area, molti insegnamenti di Gesù divennero intrecciati con quelli di Gautama Buddha. Persino alcune parabole conservate nel Nuovo Testamento divennero attribuite a Buddha.

È stato proposto che la parola Yuz Asaf, il nome della persona seppellita in Kashmir, è derivata da Buddha Asaf, visto che Gesù sarebbe stato incluso nel panteon Buddista dei santi.

 

Gesù trovò accettazione nella terra delle Tribù Perse, e completò la sua missione viaggiando verso est da quelle antiche comunità Israelite.

Una domanda è, se Gesù spese molta della sua vita in India, perché quella parte della sua vita così sconosciuta e dimenticata?

Uno deve tenere a mente il fenomeno di cosa succede alla presenza di una religione quando un'altra religione ne prende il posto. Per esempio l'Afghanistan moderno di oggi fu un vasto centro di Buddismo ed ha le più grandi statue di Buddha del mondo incise nella pietra. Quella fede è ormai svanita li. Un altro esempio sono le fedi pagane europee prima dell'arrivo della Cristianità.

I popoli Israeliti dell'Afghanistan e del Kashmir accettarono l'Islam. Gesù aveva predetto l'arrivo di un messaggero dopo di lui, adempiuta nella persona del Santo Profeta Muhammad.

Col tempo, l'antica fede della Cristianità fu dimenticata dopo generazioni cosicché ora ci sono maggiormente "musulmani ortodossi" in quelle stesse aree che tengono credi come altri "musulmani ortodossi".

Tuttavia, rimanenti dei seguaci di Gesù Cristo sono ancora esistenti nella prossimità dell'Herat, Afghanistan. Lo scolaro Britannico O.M. Burke nel suo libro "Among the Dervishes" ha descritto quelle persone. Anche se sono ora Musulmani, essi non hanno dimenticato la loro eredità Cristiana. Essi hanno un' attaccamento speciale a Gesù e si riferiscono a lui come "Yuz Asaf il Kashmiri" che venne a predicare a loro.

 

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BIOGRAPHY OF JESUS ​​OF NAZARETH

Jesus is the central figure of Christianity, which recognizes him as the Messiah, the Christ, God who became man. The main sources of text that tell of his life are the four canonical gospels (written by Matthew, Mark, Luke and John). Historical research on the history of Jesus are also originated in the letters of St. Paul and Acts of the Apostles. Although some scholars trace the figure of Jesus to the development of a myth, many others - even non-Christians - agree in recognizing the historical figure.

According to Luke in his gospel, a virgin named Mary, betrothed to Joseph, and a descendant of King David, in Nazareth of Galilee receives (at the time of King Herod's) visit of the angel Gabriel who announced the conception of Jesus. The birth of Jesus (both Matthew and Luke for) is in Bethlehem, in Judea. However in modern times secular and Christian scholars have speculated to be the birthplace of Nazareth.

  

Do not know the exact date of birth of Jesus According to tradition, the date of Christmas was December 25. The most accurate dating places the birth in the last years of King Herod, around 7-6 B.C.

  

In the history of Christianity is not provided for the year 0: it is dated back to 1 B.C. the year when Jesus was born, the year 1 A. D. is the following year. This is not due to an error in computation, but to the fact that the concept of number 0 is only introduced to Europe by Fibonacci in the thirteenth century A.D.
Long before, in 527 A.D., the monaco Dionysius had proposed to count the years since the birth of Christ: being unknown to the 0 you chose 1 as the starting number.

  

After the birth of Jesus the only Gospel of Matthew tells the so-called "Epiphany" (from the greek epifáneia, "manifestation"), which some event for the Magi (traditionally called "Three Kings" and found to be three in number) came from the East to Jerusalem, following the comet with the intention of bringing a gift to the new king of gold, frankincense and myrrh. King Herod, who came to this ingratitude and feared the usurpation of the throne, ordered the killing of all male children in Bethlehem under two years (note remembered as "slaughter of innocents"). Joseph, however, warned in a dream by an angel, fled to Egypt with Jesus and Mary. After Herod died (4 B.C.), the three return to the land of Israel and settled in Nazareth.

  

The Gospels tell of Jesus preaching then focused on the announcement of the Kingdom of Heaven and love of neighbor, made speeches accompanied by miracles and parables; finally tell his passion, crucifixion, resurrection and ascension to heaven.

Most scholars agree in placing the death of Jesus on the day of Friday, April 7, 30 AD.

  

The Gospels, which identify Jesus as Messiah and Son of God, looks like the preaching and work of Jesus the prophet, was generally in the Jewish society of the time with limited success, achieved mainly among the lower classes. The brief period of his preaching ends with the death on the cross request - according to the Gospels - by the Jewish authorities, but endorsed by the government of Rome, with the final decision delivered into the hands of Roman prefect Pontius Pilate.

After death, the followers of Jesus to support the resurrection of spreading the message of his preaching in the world, thus making Jesus one of the figures who have exerted more influence on Western culture.

From a Jewish perspective, Jesus was an itinerant preacher, but not the Messiah, was not the Son of God, performed miracles, and after his death on the cross, rose or ascended to heaven. According to Islam, Jesus was one of the greatest prophets that came before Mohammed was born virginal, worked miracles (divine will), not dead, ascended into heaven, but God was more important contemporary religious movements have developed their own interpretation of Jesus.

 

madi Muslims believe that Jesus survived the crucifixion and traveled to India to continue his commandments among the Lost Tribes of Israel. In addition, they claim that his tomb, containing his body was recently discovered in India where you can see up to date. Ahmadi Muslims also assert that this belief is not only contained in the Koran and the sayings of the Prophet Muhammad but also in the Bible itself.

The Ahmadi Muslims claim that Jesus survived the crucifixion because he had been pulled down from the cross in a state of unconsciousness, not death.

After its survival, Jesus traveled to Kashmir, India and preached to the lost tribes of Israel. His grave can be found there until now.

 

Ahmadi Muslims believe that Jesus survived the crucifixion and traveled to India to continue his commandments among the Lost Tribes of Israel. In addition, they claim that his tomb, containing his body was recently discovered in India where you can see up to date. Ahmadi Muslims also assert that this belief is not only contained in the Koran and the sayings of the Prophet Muhammad but also in the Bible itself.

The Ahmadi Muslims claim that Jesus survived the crucifixion because he had been pulled down from the cross in a state of unconsciousness, not death.

After its survival, Jesus traveled to Kashmir, India and preached to the lost tribes of Israel. His grave can be found there until now.

The history of traditional Jewish texts and the Bible divides the Semitic people into twelve tribes. In the time of Jesus, only two of the tribes were in the region where Jesus preached, while the circumstances of the remaining ten has always been a bit of a mystery.

The second-century historian Josephus wrote in his book Antiquities of the Jews, that the ten tribes were "beyond the Euphrates" in his time, east of present day Iraq and the Persian Empire, which extended the time until India.
It is also notable that the early church history documents the existence of a Gospel in Hebrew language found in India, thus confirming the Israelites in India. St. Jerome (400 AD) wrote that the pupil Pantaenus in the second century was in possession of the document during his travels. St. Jerome also wrote that the Israelites continued to live in his time the Persian Empire.

The mission of Jesus was to reach the Tribe (or Sheep) Losses of Israel, as stated in Matthew 15-24. It was therefore imperative for him to migrate eastward.

A major highlight is that the people of Afghanistan, northwest India (especially Kashmir) and the surrounding areas are of Israelite origin. Their physical traits, language, folklore, customs and festivals attest to their Israelite origin. The evidence is also by the names they gave to their villages, their ancient monuments and historical works.

Some genetic studies of people of India that to this day call themselves "Bani Israel" or "Children of Israel" confirms their Middle Eastern origin.
The burial place of Jesus in Kashmir is known by locals as Rauzabal, meaning the Honored Tomb. It is known as the tomb of Yuz Asaf, which can be derived from Buddhist or probably Yusu or Yehoshua (Jesus) the binder.

Local traditions say that a prophet was buried in Al-Kitab, or People of the Book, and his name was Isa - the Qur'anic name for Jesus

The prophet Yuz Asaf came to Kashmir from the West (Holy Land) in the reign of Raja Godpatta (about 1 century AD) according to the ancient official documents held by the current guardian of the tomb.

Some of the most extensive research on the grave were conducted by the, now withdrawn, the famous historian and teacher, Head of Archaeology of Kashmir, Professor Fida Hassnain.

The tomb is Jewish, as evidenced by the direction in which it resides. Near the tomb is engraved a footprint in stone, an artistic rendering of the crucifixion wounds.
In the first century A.D. India's north was a vast center of not only Hinduism but also Buddhism. The people of Israel that Jesus was administered in that area were a minority who practiced Judaism, but it is known that many have adopted the indigenous faiths of Hinduism and even Buddhism.

You can trace the footsteps of Jesus in those lands by some of those texts.

The ancient Hindu texts are called Puranas. One book, Bhavishya Maha Purana (read in Sanskrit) contains a story of a king of India, who had met Salivhana "Masiha-Isa" (Jesus the Messiah) - a religious figure who was a handsome stranger.

The Buddhist texts contain a prophecy of a future Buddha, a bodhisattva, called "Bagwa Metteya" Pali phrase that literally means "handsome" or "white traveler". The etymological similarity of the word "Metteya" to "Messiah" is established and meaning of the word "Messiah" is the traveler.

As the sun of Christianity in India soared with the advent of Jesus staff in that area, many teachings of Jesus became intertwined with those of Gautama Buddha. Even some of the parables preserved in the New Testament became attributed to Buddha.

It was suggested that the word Yuz Asaph, the name of the person buried in Kashmir, is derived from Buddha Asaf, as Jesus would have been included in the Buddhist pantheon of saints.
Jesus found acceptance in the land of the Lost Tribes, and completed his mission, traveling east from the ancient Israelite community.

One question is, if Jesus spent much of his life in India, because that part of his life so unknown and forgotten?

One must keep in mind the phenomenon of what happens in the presence of another religion when religion takes its place. For example, the modern day Afghanistan was a vast center of Buddhism and has the largest statues of Buddha carved in stone in the world. That faith is now gone there. Another example is the pagan beliefs before the arrival of European Christianity.

The people of Israel, Afghanistan and Kashmir accepted Islam. Jesus had predicted the arrival of a messenger after him, fulfilled in the person of the Holy Prophet Muhammad.

Over time, the ancient faith of Christianity was forgotten after generations so that now there are more "orthodox Muslims" in those same areas that hold other beliefs as "orthodox Muslims".

However, the remaining followers of Jesus Christ are still existing in the vicinity dell'Herat, Afghanistan. The British schoolboy O.M. Burke in his book "Among the Dervishes" has described those people. Although Muslims are now, they have not forgotten their Christian heritage. They have a 'special attachment to Jesus and refers to him as "Yuz Asaf the Kashmiri" who came to preach to them.

 

 

GESU' FIGLIO E SERVO DI DIO

 

Gesù è un uomo sensibile per le qualità positive che esprime: affetto e amicizia per i suoi discepoli (Gv 15,15), fiducia nei loro confronti (Mc 3,14); e, nel contempo, è un uomo fermo e deciso, convinto di quanto fa e di quanto dice (Mt 7, 28-29), pronto anche a soffrire sapendo di doverlo fare (Mc 8, 31-33). Ma accanto a questi tratti della persona umana di Gesù, emerge nei Vangeli anche la sua divinità. La persona di Gesù, nella sua interezza, sta all'origine della fede cristiana. Tutta la sua vita, i suoi discorsi e i suoi silenzi, i suoi sentimenti e le sue decisioni, i suoi gesti quotidiani e quelli miracolosi, la sua nascita e la sua morte e infine, soprattutto, la sua risurrezione, tutto questo è la radice del Cristianesimo. Proprio a partire dalla risurrezione di Cristo, infatti, gli apostoli comprenderanno in pieno che Gesù è il Figlio di Dio: questo è il nucleo centrale dell'annuncio cristiano. Ma con Gesù si è determinato negli uomini un cambiamento di aspettative riguardo alla modalità con la quale Dio si sarebbe rivelato: chi si attendeva la rivelazione di Dio e la sua comunicazione con gli uomini esclusivamente in termini di potenza o tramite miracoli, vede invece un uomo che, pur facendo opere straordinarie, vuole assumere in maniera completa le caratteristiche della vita umana nella sua quotidianità. Chi si aspettava di vedere un Dio, ha visto un uomo. Gesù è Figlio di Dio e mantiene la propria divinità, ma nello stesso tempo sceglie di ridursi alla dimensione umana. 

 

Il Cristianesimo non è fondato su un sistema di pensiero, un'ideologia o una leggenda. Alla sua radice vi è una storia di un uomo vissuto in Palestina duemila anni fa e riconosciuto dai suoi discepoli come il Messia.

L'ambiente religioso ebraico nel quale Gesù visse attendeva la venuta dell'inviato di Dio, il Messia, il quale avrebbe realizzato le promesse di salvezza fatte da Dio al suo popolo. Con il popolo ebraico Dio aveva creato legami di amicizia e mostrato in più occasioni la propria volontà.

La novità del Cristianesimo è quella di ritenere che, con la nascita di Gesù di Nazareth, Dio imprima una svolta alla storia degli uomini.

Per chi viveva in Palestina al tempo di Gesù e ha visto, ascoltato, seguito il Nazareno, la prima esperienza era quella di avere a che fare con un uomo simile a loro, un uomo reale e autentico.

I Vangeli sottolineano, infatti, unitamente alla straordinarietà della persona di Gesù, anche la sua umanità, evidenziando che egli ha desideri, sentimenti e passioni tipicamente umani: per esempio la fame e la sete (Gv. 4, 7-8), si commuove nei confronti delle folle (Mc 6,34, Mt 15,32) o davanti a malattie e lutti (Mc 1,41; Lc. 7,13), ha paura (Mc 14,33), si meraviglia (Gv 3,10), rimprovera (Mt 23, 13-33), piange (Gv 11,35).

 

" Gesù Cristo, pur essendo di natura divina,

non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio;

ma spogliò se stesso,

assumendo la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini. "

( Fil 2, 5-7 )

 

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JESUS ​​SON AND SERVANT OF GOD

Jesus is a sensitive man for expressing positive qualities: love and friendship for his disciples (Jn 15:15), trust in them (Mk 3.14), and at the same time, is a strong and determined man, convinced what does and what he says (Mt 7, 28-29), ready to suffer knowing they have to do it (Mk 8: 31-33). But alongside these traits of the human person of Jesus in the Gospels also show his divinity. The person of Jesus, in its entirety, is the origin of the Christian faith. All his life, his words and his silences, his feelings and his decisions, his actions and those daily miracles, his birth and his death and finally, above all, his resurrection, this is the root of Christianity. Just as the resurrection of Christ, in fact, the apostles fully understand that Jesus is the Son of God: this is the core of the Christian. But Jesus has given men a change in expectations about the way in which God would be revealed: who is waiting for the revelation of God and his only communication with the men in power or through miracles, instead sees a man that, while doing extraordinary work, wants to take the whole set of features of human life in its everyday life. Those expecting to see a God, he saw a man. Jesus is the Son of God and keeps his own divinity, but at the same time choose to be reduced to human scale.



Christianity is not founded on a belief system, ideology or a legend. At its root there is a story of a man who lived in Palestine two thousand years ago and recognized by his disciples as the Messiah.

The Jewish religious environment in which Jesus lived envoy awaited the coming of God, the Messiah, who would realize the promises of salvation made by God to his people. With the Jewish people God had created bonds of friendship and shown on several occasions their will.

The novelty of Christianity is to believe that, with the birth of Jesus of Nazareth, God would lend a turning point in human history.

For those who lived in Palestine at the time of Jesus, and saw, heard, followed the Nazarene, was the first experience to have to do with a man like themselves, a real man and real.

The Gospels point out, in fact, together with the uniqueness of the person of Jesus, his humanity, pointing out that he desires, feelings and passions typically human: for example, hunger and thirst (John 4: 7-8), is moved against crowds (Mk 6.34, Mt 15:32) or in front of illnesses and deaths (Mk 1.41, Lk. 7.13), afraid (Mark 14:33), you wonder (Jn 3.10 ), rebuke (Matt. 23, 13-33), weeps (John 11:35).

 

 

"Jesus Christ, although divine in nature,

did not consider something to be grasped

his equality with God;

but emptied himself,

taking the form of a servant

and the likeness of men. "

(Phil. 2: 5-7)

ELÌ ELÌ LEMÀ SABACTÀNI?

(DIO MIO DIO MIO, PERCHÈ MI HAI ABBANDONATO?)

(Mc 15, 33-37)(Mt 27,45-46)

  

Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la regione, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre Gesù gridò molto forte: "Elì, Elì, lemà sabactàni", che significa "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (…..) Ma Gesù, dando un forte grido, spirò...

 

“Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”
Quante volte il grido di Gesù è il nostro grido? E’ il momento in cui ci sentiamo traditi proprio in ciò che abbiamo sempre considerato di più prezioso ed esclusivo: il nostro amore. Delusi e ingannati da chi dovrebbe essere l’Amore, siamo stati abbandonati a noi stessi! Siamo arrivati al fondo della nostra fede e laggiù sperimentiamo una distanza tanto grande dall’Amore da sembrare ormai incolmabile.
E’ il momento in cui viviamo l’abbandono insieme a Gesù.
Nella contemplazione del mistero dell’abbandono, e nel momento della conoscenza del fallimento, non potrò non sentirmi intimamente unito a chi, anche lui abbandonato, sta vivendo, solo con se stesso, i nostri medesimi sentimenti, di chi si sente tradito, angosciato, di chi lotta, giorno dopo giorno, per mantenere viva la speranza di poter diventare o ritornare a essere un figlio.
E là su quella croce, proprio nell’istante della morte di Gesù, vi è un secondo grido, ancora più forte, più intenso del primo: è il grido della speranza, la ferma e decisa fede di Gesù nel credere di essere ancora il Figlio del Padre, e da Lui amato e nuovamente accolto, nonostante la realtà dell’abbandono vissuto.

Quel grido è il grido di Dio che non vuole scendere dalla croce per
salvare se stesso, come tanti chiedono. Su quella croce Dio ha scelto di andarci Lui stesso perché "Al principio c'era colui che è
la Parola. Egli era con Dio... Egli era Dio". (Gv 1,1)
Gesù ci chiede di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima,
con tutte le forze e con tutta la mente. Ed è proprio sulla croce che
troviamo Dio nella persona di Gesù. Dobbiamo quindi amare Gesù in croce, dobbiamo amare la croce, perché attraverso di essa si realizza la nostra salvezza e Dio manifesta il suo amore per noi.
Quel grido di dolore e di abbandono di Gesù è il grido che ogni uomo dovrebbe accogliere e farlo proprio per riconoscerlo nei drammi di questo mondo, nelle povertà materiali e spirituali, nelle
sofferenze più atroci, nel peccato, negli orfani abbandonati, in tutte quelle persone separate o divorziate, in quei genitori che hanno perso i figli, in quelle persone che hanno perso il fratello o l'amico, la moglie o marito, ma anche nella cristianità, nella Chiesa e nelle sue disunità.
Ed è là che noi cristiani siamo tenuti ad intervenire e ad entrare in azione per portare il nostro amore come Gesù ci chiede. Per farlo non è necessario fare grandi viaggi, basta iniziare dalla propria famiglia, dalla propria parrocchia, dal proprio ambiente di lavoro. Là dove c'è un dolore, là c'è Gesù abbandonato, là c'è Dio che ci chiede il nostro amore.

 

PADRE NOSTRO

 

Padre nostro, che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

rimetti a noi i nostri debiti

come noi li rimettiamo ai nostri debitori,

e non ci indurre in tentazione,

ma liberaci dal male.

                                                          Amen

 

VEGLIA PASQUALE DI PAPA BENEDETTO XVI NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA, 11.04.2009

 

 

 

 

"La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce...Sempre c’è l’impressione che la Chiesa debba affondare, e sempre è già salvata".

 

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

San Marco ci racconta nel suo Vangelo che i discepoli, scendendo dal monte della Trasfigurazione, discutevano tra di loro su che cosa volesse dire “risorgere dai morti” (cfr Mc 9, 10). Prima il Signore aveva annunciato loro la sua passione e la risurrezione dopo tre giorni. Pietro aveva protestato contro l’annuncio della morte.

Ma ora si domandavano che cosa potesse essere inteso con il termine “risurrezione”.

Non succede forse la stessa cosa anche a noi? Il Natale, la nascita del Bambino divino ci è in qualche modo immediatamente comprensibile. Possiamo amare il Bambino, possiamo immaginare la notte di Betlemme, la gioia di Maria, la gioia di san Giuseppe e dei pastori e il giubilo degli angeli.

Ma risurrezione – che cosa è? Non entra nell’ambito delle nostre esperienze, e così il messaggio spesso rimane, in qualche misura incompreso, una cosa del passato.

La Chiesa cerca di condurci alla sua comprensione, traducendo questo avvenimento misterioso nel linguaggio dei simboli nei quali possiamo in qualche modo contemplare questo evento sconvolgente.

Nella Veglia Pasquale ci indica il significato di questo giorno soprattutto mediante tre simboli: la luce, l’acqua e il canto nuovo – l’alleluia.

C’è innanzitutto la luce. La creazione di Dio – ne abbiamo appena ascoltato il racconto biblico – comincia con la parola: “Sia la luce!” (Gen 1, 3). Dove c’è la luce, nasce la vita, il caos può trasformarsi in cosmo. Nel messaggio biblico, la luce è l’immagine più immediata di Dio: Egli è interamente Luminosità, Vita, Verità, Luce. Nella Veglia Pasquale, la Chiesa legge il racconto della creazione come profezia. Nella risurrezione si verifica in modo più sublime ciò che questo testo descrive come l’inizio di tutte le cose. Dio dice nuovamente: “Sia la luce!”.

La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo. Con la risurrezione il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è la luce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma il caos in cosmo.

Cerchiamo di comprendere questo ancora un po’ meglio. Perché Cristo è Luce? Nell’Antico Testamento, la Torah era considerata come la luce proveniente da Dio per il mondo e per gli uomini. Essa separa nella creazione la luce dalle tenebre, cioè il bene dal male. Indica all’uomo la via giusta per vivere veramente. Gli indica il bene, gli mostra la verità e lo conduce verso l’amore, che è il suo contenuto più profondo. Essa è “lampada” per i passi e “luce” sul cammino (cfr Sal 119, 105). I cristiani, poi, sapevano: in Cristo è presente la Torah, la Parola di Dio è presente in Lui come Persona. La Parola di Dio è la vera Luce di cui l’uomo ha bisogno. Questa Parola è presente in Lui, nel Figlio. Il Salmo 19 aveva paragonato la Torah al sole che, sorgendo, manifesta la gloria di Dio visibilmente in tutto il mondo. I cristiani capiscono: sì, nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce sul mondo. Cristo è la grande Luce dalla quale proviene ogni vita. Egli ci fa riconoscere la gloria di Dio da un confine all’altro della terra. Egli ci indica la strada. Egli è il giorno di Dio che ora, crescendo, si diffonde per tutta la terra. Adesso, vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.

LA RESURREZIONE DI GESU' E LA SALVEZZA DEGLI UOMINI

di Vito Mancuso pubblicato su “Il Foglio”, 23 marzo 2008.

 

La tesi di questo articolo consiste nel sostenere che occorre distinguere la risurrezione quale evento concreto accaduto a Gesù di Nazaret (un evento dotato di uno statuto storico del tutto particolare su cui mi soffermerò) dalla risurrezione quale evento salvifico. Occorre distinguere il significato della risurrezione per Gesù, dal significato della risurrezione per noi.

Io aderisco alla risurrezione quale evento accaduto a Gesù, ma nego che tale evento accaduto a lui abbia il valore salvifico assoluto per noi e per gli uomini di tutti i tempi che gli si attribuisce. Io penso che la vita eterna non dipenda dal fatto che Gesù è risorto, ma che il fatto che Gesù è risorto sia un segno della vita eterna nella sua effettiva realtà.

Perché sono cristiano

Io credo alla risurrezione di Gesù sulla base di quanto dicono i testi sacri e la predicazione della Chiesa. Credo alla risurrezione, ma non è su di essa che appoggio la “mia” fede, la mia fede “interiore”, viva, quella che ripeto a me stesso nella solitudine, in quei momenti nei quali ricerco un punto fermo su cui appoggiarmi per sussistere di fronte alle tempeste del mondo. La risurrezione non è il centro della mia fede personale. L’accetto, mi fido degli antichi testimoni evangelici che ne parlano e della Chiesa che mi ha messo in contatto con loro, e quando la domenica a Messa recito il Credo niceno-costantinopolitano non ho difficoltà a pronunciare “et resurrexit tertia die secundum scripturas”. Anzi, quando talora si canta il credo in latino e la musica sale, sento anche un fremito di gioia e penso “che bello, se è davvero così”. Però non lego la mia vita alla risurrezione, non strutturo la mia visione del mondo e il quadro dei miei valori morali a partire da essa. Se domani si ritrovasse un’urna con le ossa di Gesù di Nazaret, per i miei valori e la mia visione del mondo non cambierebbe molto. Continuerei a insegnare ai miei figli a basare la loro vita sul bene e sulla giustizia, continuerei a pensare che il bene e la giustizia sono immortali. Non è perché è risorto che Gesù è il mio maestro. Lo è per le cose che ha detto e per lo stile con cui ha vissuto, per la sua umanità, il suo senso di giustizia. Lo è per la sua maniera di parlare di Dio (“Abbà, Padre”) e per la sua maniera di parlare degli uomini (“vi ho chiamati amici”). Come disse Simon Pietro quel giorno, anch’io ripeto “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Io sono discepolo di Gesù, non perché Gesù è risorto, ma perché credo che le sue parole conducono alla vita eterna presso il Padre, della quale la sua risurrezione è un segno. Non mi piacciono quelle modalità di considerare Gesù solo in funzione del sangue che ha versato o della tomba che ha lasciato, senza assegnare un’adeguata importanza al suo messaggio e alle sue azioni, ritenendo che tutto si giochi solo nel fatto che è morto e risorto, agnello destinato all’immolazione prima ancora di essere nato. Non è così, Gesù non è un agnello, Gesù è Gesù.

Valore storico della risurrezione

Penso che non ci possano essere dubbi sul fatto che la risurrezione di Gesù costituisca l’inizio del cristianesimo storico. La crocifissione è un fatto storicamente accertato, l’attestano anche fonti extracristiane quali il Talmud Babilonese, lo storico ebreo Giuseppe Flavio e lo storico romano Tacito. L’espansione entusiasta e coraggiosa del cristianesimo primitivo è, a sua volta, un fatto storico. Occorre perciò un nesso che colleghi questi due eventi ben poco coordinabili tra loro, e questo nesso, secondo il Nuovo Testamento, è la risurrezione, ovvero, per stare a ciò che è storicamente accertabile, il fatto che i primi cristiani credessero all’evento inaudito della risurrezione del crocifisso. Questo ovviamente non prova che la risurrezione come evento sia realmente accaduto, questo prova solo che la fede dei primi cristiani era basata su qualcosa di inaudito. La risurrezione attribuita a Gesù costituisce l’evento generatore del cristianesimo storico, il big bang che l’ha portato a essere quel fenomeno mondiale destinato a mutare il mondo occidentale. Senza la fede dei discepoli in quell’evento inaudito, ultimo, risolutorio, non sarebbe sorto il cristianesimo storico. In questo senso va compreso il celebre passo di 1 Corinzi 15, 14: “Se Cristo non è risuscitato, vana è la nostra predicazione, vana la vostra fede”. L’inoppugnabile dato storico della fede dei discepoli non prova nulla, beninteso, ma è un fatto cui lo storico deve cercare una causa, e l’autosuggestione o il furto del cadavere non mi sembrano portare molto lontano. Tutti gli apostoli, salvo Giovanni, risultano essere morti martiri, ed è poco plausibile pensare che una decina di uomini diano la vita per una truffa da loro stessi ideata.

Ma ciò che i discepoli credevano, cioè l’evento della risurrezione di Cristo, era una loro auto-suggestione oppure un evento storicamente accaduto? A questa domanda, dal punto di vista storico, non è possibile dare una risposta. Dal punto di vista della storia, oltre la fede dei discepoli non è possibile andare. Poniamo che ci fosse stata una telecamera di fronte al sepolcro di Gesù nella notte di Pasqua. Essa non avrebbe registrato nulla, nessuna scena da potersi vedere sullo schermo. Nulla. Se è vero ciò che la risurrezione pretende di essere, cioè l’ingresso di Dio nella storia, essa non può essere un evento empirico. Questo non significa che non sia reale, anzi è reale al sommo grado, ma proprio per questo non è empirica, cioè soggetta ai sensi umani. Esattamente come Dio, che è reale ma non empirico. La risurrezione, se c’è stata, va considerata un evento escatologico, che cioè supera la dimensione del tempo e dello spazio e che immette nella dimensione ultima dell’eterno.

Del resto prove storiche della risurrezione non ce ne sono. Nessuno dei primi testimoni ha mai detto: il sepolcro è vuoto, quindi Gesù è risorto. Il sepolcro avrebbe potuto risultare vuoto anche per sottrazione del cadavere o per un caso di morte apparente. Dal sepolcro vuoto non consegue che Gesù è risorto. Forse per questo il sepolcro vuoto non è mai menzionato da san Paolo e dai primitivi compendi della predicazione apostolica riportati dal libro degli Atti degli apostoli. D’altro lato è probabile che, se il sepolcro non fosse risultato effettivamente vuoto, l’annuncio dei discepoli sarebbe stato screditato facilmente dagli abitanti di Gerusalemme.

Per quanto concerne le apparizioni, è decisivo notare che tutti i destinatari erano già credenti. Non credevano nella risurrezione, è ovvio, perché non sapevano che era avvenuta, ma credevano nel messaggio di Gesù, erano suoi discepoli. Ne viene che la fede si mostra come la condizione a priori dell’apparizione. Senza fede, nessuna apparizione. Quindi neppure le apparizioni sono una prova. Se Gesù avesse voluto dare una prova, avrebbe dovuto apparire pubblicamente a coloro che l’avevano crocifisso.

Non c’è nessuna prova della risurrezione. Se del resto ve ne fossero, si tratterebbe di un evento storico, non escatologico, e la risurrezione non sarebbe ciò che è, ma una delle varie rianimazioni di cadaveri conosciute nel mondo antico (comprese le tre attribuite a Gesù di Nazaret). Io penso che molti si raffigurino la risurrezione come rianimazione del cadavere. Ma non è così: la risurrezione di Lazzaro è stata una rianimazione del cadavere, quella di Gesù no. La risurrezione di Gesù non è rianimazione del cadavere, e però il cadavere non c’è più, perché il sepolcro è vuoto. Che fine ha fatto il cadavere di Gesù?

Il cristiano si trova tra Scilla e Cariddi, perché da un lato deve ritenere che la risurrezione non è un evento puramente spirituale senza tracce nella storia (non è l’immortalità dell’anima, ha a che fare con un corpo materiale), e dall’altro lato deve ritenere che la risurrezione non è un evento storico come un altro, empiricamente constatabile, come per esempio la risurrezione di Lazzaro.

Io non vedo altra via per chiarirsi le idee se non pensare che il cadavere sia stato per così dire “assorbito” in una dimensione dell’essere di cui non abbiamo idea che è quella divina, avendo ricevuto una specie di decomposizione istantanea nella nostra dimensione per poi venire ricomposto in modo del tutto diverso e del tutto nuovo nella dimensione dell’eterno. Quando il suo “corpo spirituale” (espressione contraddittoria per dire la novità indicibile del fenomeno) si è mostrato di nuovo in questo mondo, ha mostrato la sua singolarissima peculiarità apparendo e disparendo. Ma una cosa è sicura: nella dimensione senza tempo e senza spazio che è propria dell’eternità di Dio, non può sussistere nulla di materiale. Il corpo in carne e ossa di Gesù “in cielo” non esiste. Gesù risorto mantiene la sua individualità personale (e per questo è lecito parlare di “corpo”), ma non la sua materialità carnale (e per questo il NT parla di corpo “spirituale”).

Valore teologico e soteriologico della risurrezione

La questione decisiva però a mio avviso non riguarda la risurrezione in quanto evento accaduto a Gesù, ma piuttosto il significato di tale evento per noi. Come uomo legato alla sorte degli uomini prima e dopo di me, rifletto sul senso di quell’evento particolare per la storia e il destino di tutti e non attribuisco ad esso un valore salvifico assoluto. Nego cioè che per essere salvi di fronte a Dio occorra credere che quell’evento sia avvenuto (aspetto soggettivo) oppure che Dio a seguito di quell’evento abbia mutato il suo atteggiamento verso gli uomini o che sia mutato qualcosa nell’ordine del mondo che Dio non avrebbe potuto mutare prima e da sé (aspetto oggettivo).

Mi soffermo sulla dimensione oggettiva. Si dice che la risurrezione costituisce la vittoria sulla morte. Ma in che senso? Qui da noi, su questa terra, la morte non è vinta, anzi. Di là, nel regno dell’eterno, Dio non aveva bisogno di vincerla, perché lì egli regna da sempre e per sempre, lì c’è solo lui e il suo regno. L’aldilà, se esiste, è precisamente la dimensione escatologica, eterna, dove Dio è tutto in tutti. In che senso quindi si dice che la risurrezione ha vinto la morte? Qui non è vinta, e di là non c’era bisogno di vincerla. La risurrezione non costituisce la vittoria sulla morte, se non nel senso di manifestare al livello storico che questa vittoria al livello dell’eterno c’è sempre stata, perché Dio è sempre stato il signore della vita e della morte, e non aveva certo bisogno di un evento storico particolare per diventarlo. Il valore di quell’evento (in sé unico) è solo dimostrativo: è il segno della possibilità reale di una vita personale oltre la morte.

Se però quel segno non fosse avvenuto, non cambierebbe nulla da un punto di vista ontologico e assiologico. Certo, senza quel segno non ci sarebbe stato il cristianesimo storico e l’occidente sarebbe molto diverso, ritengo per lo più in peggio. Ma dal punto di vista del rapporto di Dio Padre con l’umanità nulla può mutare. E questo dimostra che non è il cristianesimo a salvare gli uomini, come non li salva nessun altra religione. Non è la religione che salva gli uomini, gli uomini non si salvano perché sono religiosi. Gli uomini si salvano (al di là di che cosa questa espressione possa significare) perché sono giusti. Ciò che salva è la vita buona e giusta, come ha insegnato Gesù (c.f.  Matteo 25) in perfetta continuità con la tradizione ebraica.

PARTI ALLA RICERCA DI DIO

 

Mi chiedi il significato dell’espressione “cercare Dio”, che ascolti ripetere sovente. La ricerca di Dio (quaerere Deum) è sempre stata uno dei temi fondamentali della spiritualità cristiana. Se “nessuno può vedere Dio”, come affermano le Scritture, come dobbiamo intraprendere la nostra ricerca? Pensa alla meditazione della Bibbia, dove Dio si rivela con la sua Parola, alla preghiera, con la quale stai davanti al Dio che si à manifestato a te, o anche all’eucaristia, dove il Signore si dà a te. Ma puoi cercare Dio anche nella creazione, poiché “le opere di Dio manifestano la sua potenza e divinità” (Rm 1,20). Vorrei anzitutto precisare che cercare Dio non à in nessun caso un cammino esteriore, tanto meno un obbligo. Al contrario, è uno slancio del desiderio d’assoluto che è stato posto nel tuo cuore dal Signore stesso. Questo desiderio continua a vibrare anche nei giorni bui, quando la parola di Dio si fa rara. Il desiderio di Dio, posto nel cuore dell’uomo, è inestinguibile. Agostino, da poeta, ha saputo dirlo come pochi altri: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore à inquieto fino a quando non riposa in te!”. Il desiderio di Dio à costituito dalla fame e dalla sete autentiche della persona umana. Gesù lo dice bene: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4; Dt 8,3). Questa è la rivelazione che ci consegna colui che si è mostrato capace di saziare chi aveva fame e sete non solo di cibo ma anche di giustizia. La Scrittura fa precedere la ricerca umana di Dio dalla ricerca che Dio stesso fa dell’uomo: Dio si interessa per primo dell’uomo e del suo mondo; rivelandosi fonda la conoscenza che l’uomo può avere di Dio. Ma non si tratta di una priorità cronologica: la questione di Dio à iscritta nell’uomo, nelle domande che si pone sul senso della sua vita e del mondo. La ricerca di Dio e la ricerca dell’uomo sono intimamente unite. Il clima attuale fa di tutto per svuotare questa ricerca di Dio: l’uomo d’oggi “è non solo senza Dio ma anche senza l’uomo” (Claude Geffrè). Oggi si trova sperso nell’assenza di certezze, trascinato da un assurdo caratterizzato più dalla moltiplicazione dei sensi che dal non-senso. In un tale contesto, si vuole trovare Dio immediatamente, evadendo in pratiche di guarigione, riducendo la preghiera a un’ingiunzione: Dio deve soddisfare il bisogno dell’uomo. La ricerca di Dio deve essere anche una ricerca e un approfondimento dell’umano, una capacità di far risorgere l’umanità dell’uomo dove sembra assopita perché l’uomo divenga umano. Il Dio rivelato dalle Scritture non ha altro luogo in cui venire cercato se non l’umanità. È la storia e la carne umana che Dio ha abitato con l’incarnazione di Gesù, andando alla ricerca dell’uomo per farsi ritrovare da lui. Non dimentichiamo che non si possiede mai Dio, anche quando lo si conosce: “Se pensi di averlo compreso – scrive ancora Agostino – non è Dio”. La dimensione della ricerca custodisce la distanza tra chi cerca e l’Essere ricercato. Distanza essenziale! Il Dio che si cerca, infatti, non è un oggetto ma un soggetto, poiché lui per primo ha cercato, chiamato e amato gli esseri umani, suscitando il nostro desiderio di lui. Cercare Dio è rinunciare a pensare di essere noi i detentori della verità. Sotto la guida della Scrittura, cerchiamo Dio nell’altro, riconosciamo nel prossimo una parola che ci rivolge Dio stesso.

 

Enzo Bianchi
Lettere a un amico sulla vita spirituale
© 2010 Edizioni Qiqajon

SIGNORE DIO MIO, INSEGNA AL MIO CUORE DOVE E COME CERCARTI

 

Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in Lui.
Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di’ ora con tutto tè stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto. ‘ II tuo volto, Signore, io cerco ‘ (Sal 26, 8).
Orsù dunque. Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te assente? Se poi sei dappertutto, perché mai non ti vedo presente? Ma tu certo abiti in una luce inaccessibile. E dov’è la luce inaccessibile, o come mi accosterò a essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà a essa sì che in essa io possa vederti? Inoltre con quali segni, con quale volto ti cercherò? O Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto.
Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormentato dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tua abitazione è inaccessibile. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. Si impegna a cercarti e non conosce il tuo volto.
Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto. Tu mi hai creato e ricreato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancora non ti conosco. Io sono stato creato per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato creato.
Ma tu, Signore, fino a quando ti dimenticherai di noi, fino a quando distoglierai da noi il tuo sguardo? Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi e ci mostrerai la tua faccia? Quando ti restituirai a noi?
Guarda, Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te: non valiamo nulla senza te.
Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi insegni, ne trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.

 

Sant’Anselmo

"NELL'AMORE NON C'E' TIMORE" (1 Gv 4,18)

 

Il dono del timore di Dio è strettamente connesso a quello della pietà. Infatti, questo timore di cui parlo non è il timore dello schiavo, bensì il timore del figlio, preoccupato di non addolorare il padre con la propria disubbidienza. E' proprio questo che Giovanni intende, dicendo: "Nell'amore non c'è timore" (1 Gv 4,18): il timore di Dio scaturisce dall'amore, e per questo è un timore filiale, mentre è assente il timore dello schiavo, che non può convivere con l'amore. L'amore purifica il timore. Nell'amore non c'è il timore, ossia il timore umiliante dell'estraneo verso un potente, ma c'è certamente il timore confidente del figlio che, come tale, impone a se stesso dei limiti, nella consapevolezza di essere infinitamente amato dal Padre, ma senza mai innalzarsi sul suo stesso piano. Vediamo quali sono i riscontri biblici di questo insegnamento. Dobbiamo per prima cosa riconoscere che l'idea del timore di Dio ha subito una notevole evoluzione nel corso dello sviluppo della divina rivelazione. Il primo concetto di timore di Dio che si incontra nella Scrittura è quello rappresentato dalla fuga di Adamo dopo il peccato originale: Dio lo chiama e lui si nasconde (cfr. Gen 3,8-10). Questa forma di timore di Dio è negativa sotto tutti gli aspetti; si tratta di una conseguenza psicologica del senso di colpevolezza. All'uomo in quanto tale, tutto ciò che appartiene al mondo divino della trascendenza fa paura. Il filosofo greco Epicuro elabora un'etica partendo dal presupposto che gli uomini hanno paura degli dèi, e si propone una filosofia di liberazione. Per l'uomo non ancora illuminato dallo Spirito di Cristo, tutte le realtà invisibili, quando non le nega in nome del materialismo, gli sono in certo senso estranee, e tra esse anche Dio, percepito come il lontano ordinatore del cosmo o come il capriccioso arbitro dei destini umani. Il dono del timore viene perciò a risanare una

disposizione volitiva emozionale comune a tutti gli uomini, infondendo nell'animo quella confidenza rispettosa che non ci fa sentire estranei al mondo di Dio, ma che al tempo stesso ci mantiene nella nostra realtà di creature. Il difficile equilibrio tra figliolanza e creaturalità è dato dal dono del timore. La ferita del peccato originale ha dunque creato una frattura nel rapporto tra l'uomo e Dio, creando nella sensibilità religiosa degli uomini un senso di timorosa estraneità. Nell'Antico Testamento questa forma negativa del timore di Dio è comune a tutti i personaggi che sono chiamati a particolari ruoli nel disegno di Dio. Possiamo ricordare Abramo: nella notte in cui Dio stipula con lui l'Alleanza, egli viene assalito da un oscuro terrore (cfr. Gen 15,12). E' la percezione della vicinanza di Dio ciò che lo terrorizza. Giacobbe, quando si sveglia dopo il sogno della scala su cui salivano e scendevano gli angeli, "ebbe timore e disse: Quanto è terribile questo luogo" (Gen 28,17). In Esodo 3 Mosè è descritto nell'atto di velarsi il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio (cfr. v. 6). Un atteggiamento simile si riscontra anche nel grande profeta Elia, che, sul monte Oreb, si vela il volto col mantello al passaggio del Signore (cfr. 1 Re 19,13). Isaia vede il Signore nel Tempio e si sente impuro: "Ohimè! Io sono perduto" (Is 6,5), Ezechiele rimane stordito per una settimana (cfr. Ez 3,15) e Daniele cade con la faccia a terra (cfr. Dn 8,17-18). Ecco le reazioni dei santi dell'Antico Testamento dinanzi alla rivelazione del mistero di Dio. Alle soglie della Nuova Alleanza sembra che questo atteggiamento di timore del divino continui a sussistere. Ad esempio, quando Zaccaria vede l'angelo Gabriele ritto alla destra dell'altare, "si turbò e fu preso da timore" (Lc 1,12). Lo stesso angelo porta l'annuncio a Maria, ma

non ci sembra che la Vergine abbia provato lo stesso tipo di paura. Lei, nella sua Immacolata Concezione, non poteva provare lo stesso genere di paura: è detto infatti che non l'apparizione celeste, ma il contenuto delle parole dell'angelo provoca in Lei un certo turbamento: "A queste parole Ella rimase turbata…" (Lc 1,29). Queste parole svelavano infatti un grande e incomprensibile privilegio di cui Maria non sapeva di essere stata destinataria. Il timore di Dio comincia ad assumere le sue giuste proporzioni quando dal timore scaturisce la lode, e ciò avviene solo dove Cristo compie i suoi gesti di liberazione: il racconto dell'episodio in cui Gesù risuscita il figlio della vedova di Nain, si conclude dicendo che "tutti furono presi da timore e glorificavano Dio" (Lc 7,16). Il termine di passaggio dal timore servile veterotestamentario al timore filiale del discepolato è lo squarcio del velo del Tempio, che ha luogo in concomitanza con il terremoto che accompagna la morte di Gesù (cfr. Mt 27,51). Il velo separava infatti il "santo dei santi", luogo sacro dove nessuno poteva entrare, se non il sommo sacerdote una volta all'anno. Squarciato questo velo, il luogo sacro dove abita Dio non è più inaccessibile: la morte di Cristo inaugura un'epoca nuova e noi siamo accolti presso Dio come figli a cui è promessa l'eredità (cfr. Rm 8,16-17). La riflessione più ampia sul timore di Dio si trova nei libri sapienziali, a cui è opportuno dedicare una riflessione accurata. Innanzitutto, nell'insegnamento sapienziale, il timore di Dio, come atteggiamento religioso, non ha nulla a che vedere con la paura istintiva che si è soliti provare dinanzi a tutto ciò che può spaventarci. Tant'è vero che il timore di Dio si apprende: "Venite, figli, ascoltatemi e vi insegnerò il timore del Signore" (Sal 34,12). Si viene dunque educati al timore religioso, e ciò presuppone un cammino di iniziazione e di conoscenza del mistero di Dio. Non a caso il timore di Dio nasce dall'ascolto. E ancora: "Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole… allora comprenderai il timore del Signore" (Prv 2,1.5). Del re Ozia si racconta che "ricercò Dio finché visse Zaccaria, che l'aveva istruito nel timore del Signore" (2 Cr 26,5). Senza un'adeguata

istruzione il timore di Dio non si comprende. Nel medesimo tempo, mentre l'uomo è istruito nei misteri di Dio, gli viene comunicato come dono l'autentico timore, che è una disposizione liberatoria: "non mi allontanerò più da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore, perché non si distacchino da me" (Ger 32,40). Inoltre, la mancanza di timore religioso è la caratteristica principale dell'empio: "Nel cuore dell'empio parla il peccato, davanti ai suoi occhi non c'è timor di Dio" (Sal 36,2). Al timore di Dio si è dunque educati mediante l'insegnamento sapienziale, ma questo atteggiamento religioso può prendere consistenza solo nel contesto di una vita retta e innocente. L'empio infatti può conoscerne la nozione, ma non lo può vivere, perché nel suo cuore parla il peccato. Il timore del Signore, lungi dall'essere una condizione di infelicità o di mancanza di serena disinvoltura, è al contrario una fonte di energia positiva per l'uomo retto: "Tu avrai una grande ricchezza se avrai il timore di Dio, se rifuggirai da ogni peccato e farai ciò che piace al Signore tuo Dio" (Tb 4,21); l'uomo che è rivestito di fortezza non confida nella medesima fortezza che ha ricevuto, ma nel timore di Dio: "Nel timore del Signore è la fiducia del forte" (Prv 14,26). Anzi, perfino la salute, la longevità e il prolungarsi dei propri giorni hanno causa e origine nel timore di Dio: "Il timore del Signore prolunga i giorni, ma gli anni dei malvagi sono accorciati" (Prv 10,27). Infatti: "con il timore del Signore si evita il male" (Prv 16,6). Per il libro del Siracide, il timore di Dio non solo non è un atteggiamento umiliante ma è addirittura "gloria e vanto, gioia e corona di esultanza… dà contentezza, gioia e lunga vita" (Sir 1,9-10). Prima di giungere alla sapienza occorre passare per il dono del timore, perché "principio della sapienza è temere il Signore" (Sir 1,12), "il timore di Dio è una scuola di sapienza" (Prv 15,33). Il discepolo trova rifugio nel timore del Signore quando arriva il momento della sua morte: "Per chi teme il Signore andrà bene alla fine, sarà benedetto nel giorno della sua morte" (Sir 1,11), "Vanto dei vecchi è il timore del Signore" (Sir 25,6). Che il timore servile non abbia niente a che vedere col dono del timor di Dio è riaffermato dal Siracide in questi termini: "Quanti temete il Signore, aspettate la sua misericordia; voi che temete il Signore confidate in Lui; voi che temete il Signore, sperate i suoi benefici" (Sir 2,7-9). In sostanza, il dono del timore di Dio si specifica in tre atteggiamenti particolari: l'attesa della misericordia, la confidenza in Dio e la speranza di essere da Lui beneficati. Esattamente il contrario di qualunque timore servile e oppressivo. Ma a questi atteggiamenti se ne aggiungono altri, descritti più avanti, per completare il quadro: "Coloro che temono il Signore, non disobbediscono alle sue parole, cercano di piacergli, tengono pronti i loro cuori, umiliano l'anima loro davanti a Lui" (Sir 2,15-17). In fondo, insieme ai tre precedenti, non sono altro che questi gli atteggiamenti tipici del discepolato: la venerazione della Parola e la sottomissione gioiosa al suo insegnamento; l'indifferenza per il giudizio umano, allo scopo di essere graditi e lodati solo da Dio; la prontezza e l'attenzione vigile ai segnali che Dio dissemina nella nostra vita quotidiana; l'umiltà della creatura che non presume nulla dinanzi al suo Creatore, e che, anzi, tutto attende da Lui.

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"...Anzi abbiate nei vostri cuori un santo timore di Cristo il Signore,

pronti sempre a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domanda ragione della speranza che è in voi, ma con dolcezza e rispetto; avendo una buona coscienza... (1 Pietro 3,15).

 

UNA DELLE TANTE MERAVIGLIE DI DIO

Osservate come il sole esercita la sua azione sulla terra, quando esso sorge tutte le cose cambiano aspetto: le piante sembrano inargentate ed imperlate, i fiori ricevono la vita del proprio profumo e del diverso colore a seconda della diversità di essi, sembra che tutte le piante ricevano a sorsi a sorsi la vita della luce del sole per svilupparsi e formarsi. Eppure una è la luce, uno il calore, null’altro si vede. Ma da dove scaturiscono tanti diversi effetti che riceve la natura? Tutti dal sole, perché il sole tiene il germe della fecondità, il germe della sostanza di tutti i colori nella sua luce e nel suo calore. Non si può dare una cosa se non si possiede. Così il sole non avrebbe potuto dare né la fecondità, né la dolcezza ai frutti, né il colorito ai fiori, né operare tante meraviglie sulla terra se non contenesse in sé tutti gli effetti che produce.   image

 

Così è il vostro spirito unito a DIO , LUI lo vivifica, LO imperla di grazie, GLI da le tinte della santità divina...!

 

Om shanti

Namasté